Salvatore Caruso
 
l'acqua
e
l'aria

 
SILLOGE APERTA
originale di stesura

 
2000
 
 
 
 
Ancora pagine bianche

Chi sfoglierà poi
queste pagine bianche 
rapinante dal tempo,
che nude di parole, ora
che un dolore immenso,
privo di speranza,
le s'è fermato sopra
e le confonde?
Forse è un fumo di brace,
o è nebbia di pioggia
che nel chiuso timore
s'è fatto certezza?

08.10.99
 
Verdi colline d'Africa
- ovvero della pedofilia -

Verdi colline d'Africa
che ridestate antiche memorie
appannate dagli anni
e di primitivi istinti,
intrisi d'orrore, raccogliete
le gioie e i momenti, 
i colori e i profumi vissuti
tra righe e parole d'incanto.
Ahimè, che confusione
quelle lacrime innocenti
d'umane tenebre rapite
sotto un ovvio cielo indifferente.
Però, mai ho visto sparso
sull'erba secca delle savane
il sangue delle piccole iene.
E da terre lontane
mi toccano il cuore
più grandi emozioni,
e con loro mi voglio obliare
di quest'infido mondo perbene.
Voglio scappare lontano
da tutto questo sudiciume
che non riesco a sopportare,
da queste facce tutte uguali
che non posso additare,
da questi mostri camuffati
che non posso perdonare.
 
L'acqua e l'aria

E poi, s'è logorata così 
l'altalena dell'incertezze,
delle impronte indistinte
e degli equivoci incredibili,
crogiolando e sostenendo
l'eterna adesione mia 
ai miraggi irrisolti
e alle idee deliranti.
Senza accorgermi di nulla
il mio tempo è passato,
inesorabilmente è trascorso,
mentre l'acqua dei fiumi
levigava le pietre
e l'acqua del mare
frantumava la lava,
e l'aria cingeva ogni cosa,
riempiendo nascoste vuotaggini 
e scivolando su aride terre,
che ancora più aride 
mi si consegnavano comunque, 
soltanto come cenere.
E morire, senza morire
è la vera sventura dell'imbroglio
di questa viziosa sorte 
che m'ha negato tutto,
perfino la meraviglia 
delle mie limpide sorgenti
ch'eppure ho ascoltato
lontane, profonde, 
troppo confuse davvero
per ritrovarle ancora intatte.
 
Sugli scogli di Leucade

Quando ti vidi sola sui funesti scogli di Leucade
ad ammirar l'infrangere delle onde spumose
e ad ascoltare il vento che ansimava tra le rocce, 
nel mio petto, un lupo guaì come un demone
destato dal giusto sonno.
L'inferno e il paradiso si sciolsero insieme
sulla mia faccia di fuoco
e una ninfa scoprii in te,
figlia di altri miraggi che estasiavi smaniosa
d'una lacrimosa fine;
ch'è peggio della morte una vita d'angosce.
E là rimasi io,
sull'aguzza roccia astiosa,
immobile ad ammirare la generosa morte
che dell'orrenda opera si faceva più forte;
che il tuo respiro scemava per sempre ormai,
mentre invano si univano gli oscuri flutti del mare.
 
Una pagina 
di storia conosciuta

Che donne sole
e donne d'altri
andate cianciando;
né donne sole
né donne d'altri
io vò cercando;
che della mia donna
(occhi lucenti d'araba,
profilo greco,
viso castigliano)
io m'accontento.
Ella che di me s'incanta
e d'ogni cosa mi compiace,
e d'ogni dove m'immagina,
e d'ogni età m'è compagna.
Ora, soltanto ora m'accorgo!,
come se sfogliassimo insieme 
una pagina di storia conosciuta.
 
Amici miei

Vi cerco ancora 
figli spersi per il mondo
che le gobbe radici 
recise dal tempo
strinsero la terra come artigli 
e le nocche delle mani
sanguinarono acqua.

Acqua e aria sono passate 
sotto i ponti sospesi nel nulla,
e dai nudi ferri arrugginiti
pendono luminosi cristalli 
di rugiada non risolta:
fantasmi di fogge smarrite 
che al chiaro mattino 
si sono affidate.
Ed ora, inutilmente
un rapido pensiero vi cerca
in tutto ciò che è perduto:
i sorrisi, le parole, i colori,
i truci sguardi, le profonde rughe
e le lacrime nascoste
che luccicano e svaniscono 
in semplici lampi di luce,
come faville di fuoco
sperperate nell'aria. 


L'ora spirituale

La sinuosa sella all'orizzonte sperso
ha inghiottito l'astro luminoso e vivo
che un cielo, davvero immacolato,
di sangue si è annaffiato dappertutto!
Ed ora che è sera su quei monti in fiamme
ed è sera sulle nevi dell'Etna maestosa,
l'eco di un merlo melodioso confida
alla sera una remota chiesa di frontiera
che la campana lega alla malinconia.
L'ora spirituale è oramai giunta,
ed è l'ora delle streghe di paglia
che mutano i colori sgargianti del brio
e la mente confondono di attese paure.
Il cuore si stringe di un poco e piange,
piange i ricordi che brillano ancora 
e son lacrime di sale e di dolore.
Lontane, minuscole, vecchie lanterne 
accendono l'incerto buio della sera,
che a tante lucciole che si perdono
si lega l'anima mia sconsolata.
La morte si aggira silenziosa stasera, 
ma la sento passare spavalda d'orrore;
col tempo che si ferma, paziente,
sopra un limite trascorso all'istante,
che la notte l'avanza alle spalle
e più solo il cuore mio si mormora
alla sera che scorre via, lenta;
a una notte che vicina l'attende,
una notte per placare o inasprire
tutte le paure della confusa sera. 
 
Il tuo nome

Recitare il tuo nome 
è un balcone che si apre
sulla brughiera sconfinata, 
o sul mare aperto, o sulla folla
che brulica nella piazza semichiusa:
un cardine che gira e rigira lentamente
nel suo stretto universo di metallo,
dove un confine accartocciato si muove
e un vortice scricchiola e si contorce 
e poi, poi si apre finalmente, 
spalancando le sillabe più aperte
e diffondendo spazi luminescenti
e straordinarie meraviglie.
Levigati marmi bianchi
m'appaiono davanti 
come immense distese di sale,
e cieli inerti abbagliati dal sole
si gonfiano di tanto splendore.
Ed io ti chiamo, mille volte ti chiamo,
e al silenzio ripeto il tuo nome,
finché la voce mia si perde
e le parole del cuore 
le sento affogare
dentro sconosciute radure di chiaro, 
avviluppate in un sottile retaggio
che intimamente ti lega.
 
La mia poesia sospesa

La mia poesia sospesa, 
malinconica e timorosa,
d'inutili parole si compiace
e a misere rovine s'appiglia
per scalare lisce pareti verticali
che sfuggono i fidati cammini 
e di là, non si sa districare.
E le parole di musica muta
orchestrano sorde melodie
e vaneggiano strane intuizioni:
"zappare nell'acqua cristallina
e seminare sementi senza sorte"
non è poesia, ma realtà piena.

E tace, tace l'anima iraconda,
finché s'accorge veramente sola,
e pure della sua ombra 
le sovviene la meraviglia 
dell'inaspettata presenza.
Oramai, sicura d'essersi perduta,
d'aver girato inutilmente intorno,
coltivando semplici simulazioni,
ella va; si dondola intanto
che il sospirato spirito giace
intorno a tre vele smarrite
e dorme d'un sonno profondo
e sogna straordinarie alchimie,
vagheggiando autonomamente
all'interno di fosche allucinazioni.
 
Natale 1990

Del Natale che giunge da lontano
pure la mia Isola si compiace 
e in un'aura gelata stride
un'eco gioiosa e spensierata
che pure il nostro animo vuole,
assaporando la magia della festa. 

Di un Natale di fango,
di pozzanghere e fuochi
che ardevano la notte,
mi sovviene la memoria,
quando ci si vedeva intorno 
e tutti eravamo migliori;
e la meraviglia era quella
d'essere davvero uomini ancora.
E quanti Natali aspettati
sono svaniti così, in un lampo?
E quanti Natali vissuti
si sono dissolti così, in un lampo?
Che di questo Natale
mi riconta tutti i Natali passati
e solo a quello mi riporta,
il più triste, il più angoscioso:
un solitario pensiero di terrore
per quel Natale del terremoto.
 
Un posto fra le nuvole

Conosco un posto fra le nuvole
e ancora più in alto,
dove non esistono catene
e l'uomo è libero di andare
dove meglio gli pare,
anche di volare 
su ali di uccello di fumo
che talvolta sta lì a planare,
proprio sopra gli aspri gorghi, 
sfiorando impudentemente
l'assoluto gravitazionale
che là, esalta il suo valore.
Ah, com'è sublime l'instabilità 
e la lenta lievitazione dell'aria,
esasperante se non fosse aria.
Ed aria non è soltanto,
ma un insieme di essenze
sparpagliate qua e là
per dissolversi poi
in un limite incoerente.
 
Sorprendere

C'è chi vola in questo mondo
e c'è chi ruzzola per terra,
rotolando e intricando 
spini di rovo e cacca di cane.
Certo..., se da soli si viaggia,
c'è sempre il rischio di perdersi
e di non ritrovare più la strada.
Insieme agli altri, invece,
è un'altra cosa, si va sicuri 
e non c'è rischio di sbagliare.

Che io ne abbia sorpresa
di luce un poco
e degli spregi ne faccia gioco;
cosa m'importa
se gli altri credono?
Cosa m'importa 
se gli altri approvano?
Quanti cantastorie replicano 
e quanti sciocchi sentimenti 
essi affinano dal nulla?
Per apparire soltanto, come
copiando un compito di latino.

Ed io chi sono allora?
Sono un poeta o un parolaio?
O sono l'odoraccio e l'orribile
che non si distinguono più?
La poesia è morta a questo punto
con le strofe che grugniscono versi
e che si glassano di fango
per cose che non interessano più. 
Oramai, siatene pur certi,
i cantori a mezzo servizio
hanno i loro giorni contati.
 
Io, come un albero

Scivola l'acqua 
che sostiene tanta vita
e vibra l'aria 
che porta gli uccelli in volo;
eppure, una goccia d'acqua 
e un filo d'aria,
pur se legassero l'istante,
liberi sarebbero d'andare,
vagolando per ogni parte.

Io, come un albero
che alle zolle in terra
le radici affonda,
mai potrò sperare
di camminare o scivolare,
o viaggiare per il mondo,
o farmi crescere le ali
e volando, abbandonare 
la mia rugosa terra.

Pure una pietra,
scivolando, 
fugge via lontano,
e nelle tasche di un ragazzo
può attraversare il mare.
Per la cattiva sorte,
io come un albero là,
dove mi ritrovai
dovrò finire.

E meno le mie fronde, 
un tempo colorate e vive
ed ora, anch'esse chiuse, 
prigioniere, appassite
sfuggiranno il luogo 
che le coprirà per sempre
d'una immensità ridotta
all'intimo spazio privo
della mia luminosità. 
 
Pasqua

L'agnello è morto
e non risorgerà più!
Consoliamoci insieme,
tutti, attorno
ad una tavola lussuosa
che è stata imbandita
di fronzoli e cibarie,
vino e dolci, e chiacchiere,
e strane ricercatezze
per celebrare l'agnello
nei piatti buoni
di porcellana.
Evviva nostro Signore
che avete assassinato!
Evviva nostro Signore
che poi è resuscitato!
Il dovere delle circostanze
è davvero compiuto.
 
L'ombra del peccato

Là, dove esiste un argine
fra cielo e terra,
esisterà perfino un muro,
forse solo di fiori rampicanti
che innanzi si spiegano,
sontuosamente,
come manti episcopali
gremiti di lucciole che vibrano, 
spargendo ovunque
i sette colori dell'arco.
Eppure, anche dei sacri Re
passerà la meritoria legge
che l'Eterno benedisse.
E benedetto Tu, Dio
dei chiari offici virginali
che separasti la luce 
e le tenebre, e mantenesti 
intatta l'ombra del peccato.
 
Simmetria Estetica
Anch'io m'illuminai d'immenso
dell'illustre mattinata
ampia, radiosa e scaltra.

Spiandoti,
paroliere di morte,
ho rivissuto i fossi
e il fango e gli schioppi,
e il tanfo e la cattiva sorte.
 
Rancore

"L'odio villoso 
nel ventre crebbe
e gli occhi di sangue aprì
come la purpurea gerbera
che il capo chinò 
d'onte afflitta." 

Ecco così, 
stizzosamente,
di me parlasti 
e parole di fuoco 
ad astio inzuppasti 
per condire rancore
e assaporar 
d'amaro fiele
le tragiche ore.
Ed io,malevolmente,
raggirai l'innocente
e con te m'adagiai 
sul ventre; nel ventre 
villoso della terra,
ove ascoltai 
l'immane tempesta e 
il fragore chiuso 
dell'onde del mare
che l'impeto del vento 
muoveva 
dentro me soltanto.
 
Notte di luglio

Di fioche luci tremolanti
e d'improvvisi lampi spersi
si rincorrono e si allontanano
lunghi fendenti di spada 
che sopra viscere
d'immenso scuro s'abbattono.
Nell'orizzonte indefinito della notte
tanti lumicini deboli e indecisi,
timidamente, si toccano
e sottovoce si parlano
come clandestini amanti.
E parlano di vita
di una calda notte di luglio
che in un palcoscenico immenso
s'accompagnano, pazientemente, 
per cielo di stelle che non mutano.
E intanto, taciuto l'Eterno,
in questa notte calda e spensierata
vedo e ascolto il vuoto che cresce,
e là, davanti a me, 
sfoga la sua impazienza.
 
I Prigionieri di Sahovic

I prigionieri di Sahovic
sono stati trucidati
e la bestia s'aggira ancora
di cadavere in cadavere
per reciderne i talloni
come ai buoi nelle campagne,
dopo averli abbattuti
a colpi d'ascia
per non farli rialzare.
Ora, fruga nelle tasche dei morti
e ogni pezzetto di zucchero
che trova, intriso di gelido sangue 
colato dalle ferite mortali,
lo mangia, succhiandolo.

Fuggite! Fuggite via lontano!
L'orrendo abominio s'è compiuto!
Il confine della tirannia
è stato oltrepassato
e non resta che andare via.
Udite! Udite! Udite!
E' la rovina di Babele
nei richiami disperati
e nelle vie deserte,
nelle finestre spalancate
e nelle voci che si rincorrono.
E che voci di madre
sono mai queste?
Ognuna 
piange i propri figli.
 
Voce

Novella che non sei 
conto d'amico caro 
ormai perduto, né nebbia 
che agli occhi miei ti cela,
e poi t'oblia.
Voce, solo voce 
del sangue tuo
tradito e calpestato 
che dell'infame vita 
assai spietata 
esordì la morte 
e t'inghiottì
come un boccone amaro.
E tu, sazio d'inganni 
e d'ostili dileggi,
ad aspettare l'istante giaci. 
Più tardi rovineranno 
le oscene menzogne
che ognuno 
t'ha voluto conservare.

30/marzo/1999
Ad un amico che non c'è più.

 
Rugiade odorose 

In alto volano le rondini giocose,
stridendo la pallida caligine
che lentamente evapora al cielo. 
Quali inquiete passioni si muovono
nell'aerea stagione di vita,
mentre, nere lame taglienti
feriscono il vento borioso? 
Nulla sembra fermarle,
né il deserto che trascinano le ali
né la morte che spingono innanzi.
E volano le rondini giocose
nell'intimità dell'aria novella 
che spande profumi di zagara 
e d'agro fieno di maggio, che
le rugiade odorose dei freschi amori
così nascono, all'improvviso, 
anche tra vaghe orbite in tumulto.
 
Amore mio che dormi
Amore mio che dormi
in un letto di foglie secche,
dove nemmeno il pianto
degli occhi tuoi sedotti
ha inumidito il cuore
che arido e selvaggio giace
più chiuso e cupo ancora. 
Se io fossi..., ma non lo sono
quello che sogni e che desideri.
Ma cosa sogni e cosa desideri,
amore mio che del fuoco bruci?
Un fuoco che solo io volli
per te, così, per sempre
senza osare più novelli ardori.
E quale luce vedrò nei miei occhi
e nel mio cuore di pietra
per i confini di questo corpo infermo?
Arrancare mi vedo dentro l'universo:
un cosmo infinito che si muove
sfrenato e confuso, eppure timoroso,
nel disordine del Caos trasformista. 

Del corpo mio mortale,
mai le mani tue s'impadroniranno.
 
Israele 1998
"i cinquant'anni"

Altro sangue s'è riunito dopo,
coagulando insieme i globuli smarriti
ed imponendo ai nuovi Cesari 
la certezza di un nome sacro: Israele!
Del piccolo grumo che non s'è disciolto
ed è giunto ai suoi cinquant'anni,
si è consacrata l'identità degli eletti
in uno fertile reticolo cristallino
che un po' ci affratella tutti, 
insieme ad altri segni livellanti:
come la stella di Davide,
come il colore del sangue,
come i vagiti dei bimbi
e gli occhi chiusi dalla morte.
Ma, le incoerenze sublimano ancora, 
quali vapori d'acqua turbolenti
che si gonfiano e si esaltano
tra indifferenze ristagnanti
che, pur aleggiando soltanto, 
nutrono le coscienze dei barbari.
Tra gli angeli e le bestie
sono trascorsi i secoli più neri,
eppure,più chiari alla memoria;
ed altri secoli passeranno
per concludere l'oblio
dell'infame genocidio.
Intanto, Israele vive!
Vive la storia dei suoi martiri;
vive la crocifissione del Dio negato;
vive il suo marchio, 
sempre più sbiadito;
vive il coraggio dei propri figli
che non han ceduto.
 
Regali

Se questo mio cuore volessi regalare,
ah, quanta gente lo vorrebbe avere.
Forte e sano egli tambura nel mio petto,
ha colpi brevi, cupi, ma assai sicuri.

Se questi occhi miei volessi regalare
a chi potrei negare di poter vedere?
Sono spenti, vogliono dormire, e grevi
chiudono le palpebre solo per sognare.

Se queste mie orecchie volessi regalare
certo, a qualcuno potrebbero servire.
Incauti, ascoltarono i fruscii dell'anima,
i magici silenzi e il vento che li ha storditi.

Se queste gambe mie volessi regalare
e queste braccia già senza vigore,
a chi potrebbero servire tali membra 
che mai han saputo lottare? 

E se questo mio cervello potessi regalare,
quale sciagurato si potrebbe accontentare?
Egli s'è trascinato fra le storie più inutili 
e v'è precipitato facile, pesante, tale e quale.


Etna

Là. dove la pianura e il cielo
si dovrebbero abbracciare
e la terra, o il mare
dovrebbero finire, tu,
immensa mi appari:
oscura, radiosa, quasi irreale.
Bianca e pura, eterna e buona
compagna del primo albore
e del vespero declino
che a me ti scosta.
Monito supremo 
alla sontuosità che resta,
alla spavalderia inutile
e al mio piccolo orgoglio
di uomo fragilissimo.
Eppure, ogni sera,
sulle tue candide nevi 
mi chiami
e sugli aspri e bruni declivi
scivola l'ultimo pensiero
del mio giorno chiuso.
Sono venute le cicogne

Sono venute le cicogne 
da molto lontano ed ora là, 
faranno il loro nido, 
sulle sghembe palafitte che
come torri piantate nell'acqua,
tra giunchi e canne che si urtano, 
tremeranno al lieve soffio che passa; 
e lo stagno s'accarezzerà la pelle
e l'acqua si muoverà pigramente,
assieme a un mare dorato
che ondeggerà tutt'intorno.
Scorrerà la vaporosa brezza 
sopra un simile prodigio e la palude
che dorme esulterà di mera armonia
Ma, ciò che sembra ora è solo bugia,
e ogni cosa ritornerà come prima, 
come gli odori che volgono al chiaro
e sembrano svanire nelle pieghe d'un fiato, 
tuttavia, sono sempre quelli: 
le piante sciolte, l'acqua marcia, 
l'aria putrescente e un'idea di morte.
Eppure, tutto è normale ed equo,
come il tempo che passa sotto il sole
e le foglie che dondolano sull'acqua,
le libellule che sfiorano l'invisibile pelo
e baciano lo specchio immacolato.
Intanto, tutt'intorno s'avviano 
concentriche aureole immortali. 


Ciclicità

Era di neve candida e soffice
il mio deserto.
Era di sabbia fine e rovente
il mio deserto.
Era di sale amaro e lucente
il mio deserto.
Ora è di sangue cupo e scottante
il mio deserto.
Poi, sarà l'epilogo della mia ciclicità,
quando il frantumo dell'ossa mie 
vagherà sparso per un deserto
senza fine. 


Vacui spazi
della coscienza
.

Verrò lassù a cercarti,
oltre i rami domati dal vento
e tenterò l'aria degli spazi,
del fumo e delle nubi sperse.
In alto salirò, lo giuro!,
come lingua di fuoco 
che fugge oltre 
e si ritrae crollando. 
Ma poi, ad altra cresta 
di più si piega,
che sempre più nobile pare
il vano seguito infinito
d'una colonna già segnata.
Così, si quieterà la mia superbia 
e crolleranno i miei pregiudizi,
che dagli errori son nati
le angosce e le perplessità
di questo mondo antico.
Dunque, mi chiedo:
qual è lo spazio e il tempo
del mio pensiero sottile?
L'io? La coscienza? L'inconscio?
O semplicemente
l'utopia dell'individuazione?


Cosa rimane?

Sollevando un'antica pietra dimenticata,
un groviglio di minuscole serpi trovai
che si avviluppavano le une sulle altre 
come fili d'un gomitolo di lana caprina.
Arduo mi sembrò il dipanarle intanto,
e mi contenni ad osservarle da lontano.
In seguito, ogni serpentello si ravvide
dell'inutile, incestuoso intreccio agitato
e magicamente si slegarono, strisciando
via lungo tortuosi sentieri di salvezza.
Dopo, nulla rimase dell'immonda schiera,
se non l'accenno d'una depressione
sulla sabbia e tante tracce su essa
che, come tenui raggi di luce incerta,
diffondevano verso un'inerte vacuità.


Il tempo che emerge

Svuotami dell'orbo desiderio il core
che d'altra misura ti vorrei lodare
oh triste, immota gemma sacrale
che del martire ripercorri il nome 
e negli anni perpetui l'eco feconda.

Sfioro d'un lampo disatteso e scaltro
il canuto vello del petto mio stanco
e gli occhi altrove io metto, più in là,
fugando l'immagine tarda e turpe
del vecchio disilluso che m'attende.
Oltre i cancelli del sagrato mi fermo
e dell'iniqua luce del mattino m'inondo,
ove la bianca e fiacca pietra sgretolata,
d'inutile, maestosa austerità s'illumina.
Con te patisco gli anni accumulati,
vecchia cattedrale dei rapiti lauri,
con te d'un floscio drappo mi copro
per celarmi del tempo che emerge.

- all'ex cattedrale di Sant'Alfio in Lentini -
Premio Città di Tocco da Casauria 1999



La Madonna di Dinnammare

Soltanto un ostinato ambulante della fiera
indugiava col suo banchetto da sognatore
carico di noccioline e palloncini colorati,
e la gente che non c'era lo rintristiva più
del forte vento pregno d'acqua che forzava
dal mare verso l'altro mare dello stretto,
intanto che lunghe scie di navi quasi ferme
pungevano i salsi flutti cangianti, chiusi
tra gli estremi monti dell'orizzonte certo
che là si compie, di continuo e per sempre!
La Madonna di Dinnammare la vidi lassù,
al riparo di una chiesetta tutta bianca,
dentro e fuori. Mi sembrò un faro accucciato
fra le nuvole che si rincorrevano veloci.
Raffiche di vento agitavano i cancelli 
e berci di metallo ululavano al pio sacello,
mentre qua e là si aprivano ampi varchi
d'azzurro cielo immacolato e di terra bruna
che si accartocciava nelle vertiginose forre.
Com'era docile Messina quando aspettava
la sua compiaciuta Madonna: laggiù, sotto
la coltre di nuvole inquiete che indifferenti 
oltrepassavano la sacra vedetta dimenticata.
Un solo mercante d'aria incaponito aspettava 
ancora che qualcuno venisse lassù, per 
onorare l'eremo della malinconica Madonna
e il suo banchetto di desolate raffinatezze.


Crimini di guerra

L'olocausto del duemila
s'è compiuto!
Nulla più da dire!
Aspettando
una nuova Norimberga
immagino
il futuro e il falso
che si ripeterà
inevitabilmente.
 
Fotografie

Adesso, molte immagini mi confondono,
troppe e belle, eppure effimere e inerti, 
tanto che anch'esse più di così non esistono.
Son cose vuote che appaiono in lucide carte
che si mostrano e mi stordiscono la mente, 
e son cose buone per rievocare i rimpianti,
buone per ricolmare la mia nostalgia.
Altro non ho fra le mani, soltanto
alcune vecchie fotografie gettate qua e là, 
sui miei tinteggiati e immoti ricordi: 
compagni di ritrovati momenti, 
richiami del mio passato con gli amici, 
coi parenti e con la gente dimenticata.
Stanno tutti là, insieme, immutabili,
e i loro sguardi son sempre quelli:
ad aspettare coi volti tesi, ridenti, eterni, 
il giungere d'una realtà sospesa.
E' tra la vita e la morte che sfoglio
queste tenaci reliquie del tempo,
e nei loro occhi non vedo alcun segno:
dove un presagio, un rimpianto io cerco,
solo sorrisi e volti sereni riscopro. 


Chiara

Chiara la notte ora ci appare,
quando assai lontana vive
quella che il cuore ci strappò
ed alla paura ci consegnò 
sopra un piatto d'argento
pronto per la sera di Natale.

Ora, dorme inquieto l'orrore
entro una vile logica fatalista;
altro che la rassegnazione,
tutto s'immerse nell'acque
stagnanti dell'eterna abulia
che irretisce e un po' assolve.

Ah, come vorrei che finisse
in un istante questo sconforto
che tenacemente si scioglie
sotto i luminosi raggi del sole,
e non più nell'angoscioso buio
di una notte chiara e bugiarda.


La mia campagna

Quanta pace ritrovo sotto l'ampia mimosa
a guardare l' intenso azzurro del cielo
e le foglie d'arancio che fremono smarrite
al lieve tocco della fresca brezza delicata.
Lontane campane gioiose mi rassicurano 
una briciola di pace diffusa tutt'intorno, 
e le lunghe ombre degli alberi in festa
danzano, salutando il giorno che manca.
Gli uccelletti qua e là, tra i rami a cinguettare;
e più in là, l'assolo d'un merlo solitario 
che nel vallone dei chiusi rovi pungenti
canta la sua melodia per una sera d'estate.

Ciondolano i raspi d'uva zuccherina
e le languide perle, d'agili aculei crivellate, 
cedono ad un disperato, febbrile desinare.
Dagli acini colano tristi rugiade di sangue
come d'umori strappati alla battaglia
che l'astro spavaldo illumina ancora.
Potessi fermare questo tempo intanto,
sui variopinti colori dei gerani esuberanti
e delle chine gerbere sempre addolorate;
sull'inutile abbaiare dei cani alla catena 
e nell'iride sperso che fluttua, errabondo,
in nuvolette d'acqua spruzzata finemente.

Da vene sotterranee l'acqua giunge leggiadra
a temprare le torreggianti chiome virenti.
Ora, però, il vecchio giorno sta per finire
e l'istante incantato va verso il suo declino;
un aeroplano arranca oltre le umili alture,
passa distante, e riprende il gaio ciarlare
di chi cerca solerte un posto per sognare.
Altro, più tardi si fermerà quaggiù, e mi privo
un universo pieno di cere e di ombre scure.
Nel mentre, in quest'armonia sublime mi fondo:
qui, nel più piccolo paradiso incontaminato,
eretto soltanto su semplici splendori naturali.


CASSIMINO - 26.06.99
 
Notte di luna

Oltre l'impenetrabile 
dell'orizzonte opaco
quando la luna appare
e dolcemente si distende
alla terra si confonde,
che nulla è più
come il giorno andato,
né l'indecisione sovrana
né il pallore delle cose.
In un prato scolorito
s'è posato un manto virginale
ed i pensieri di ora
non si liberano del passato
come le ombre allungate
che si rincorrono e volano via,
che la notte le confonde
in una notte di luna
che vive i suoi palpiti
e nei suoi misteri si perde.
 
Solo sangue

L'aculeo penetrò, 
irrompendo
nell'arrendevole vena,
e il sangue gorgogliò
attraverso il buio orificio
dell'ampolla cristallina
ed emergendo, inondò
come sorgente di vita
l'anima delicata
che in pegno consegnò 
dell'estremo supplizio.
Poi, una palla di neve 
candida chiuse l'antro 
che il cuore aprì
all'aria del mattino.


Sarà...,

Sarà, ma non ci credo
che tu ci riuscirai
a vincere lo spreco 
del corpo tuo ignaro, 
né che la mano inferma
possa lottare e vincere
l'odioso e vile inganno.
Sarà, ma non ci credo
che poi verranno i giorni
che dall'erose e rese
spoglie tu rinascerai, 
né che la pace coli
nuovi, sublimi fiati
sul tuo spirito inerte.
Scappa via, lontano
dall'insano richiamo
che il riso tuo ha spento
e gli occhi t'ha nerito.
Se mai dovessi udirlo
non indugiare ancora,
oltre non dagli retta;
fuggi la mano tesa 
ch'essa rovina e brucia.


Estate

Pigro e pesante
nel cielo
il sole dondola
che l'attimo d'un fruscio
le stoppie vibrano e
la lucertola, impaurita,
fugge via!
Un rondone nel cielo
là, in alto
danza una sorda melodia:
lenta, infinita.
Un uomo
curvo sulla terra
bagnata dal sudore
bestemmia!
E un fil di fumo
all'orizzonte
grida la tragicità
di quanto sta accadendo.
Immobile,
sopra un pero selvatico,
un falco osserva il mondo.
Né vento né movimento,
ma solo un miraggio
dell'aria che cammina,
ondeggiando.
Un silenzio eterno
rotto dal cri-cri di una cicala
che pulisce le sue ali.
E' presto, o tardi?
E' ieri, o è domani?
Poco importa!
Il padre e il figlio:
la fatica ed il presente
di questa misera estate.
 
L'era 
dell'ermafrodito


L'uomo s'è perduto
in un groviglio
di sentimenti strani,
di ambigui ruoli,
d'emarginazione reale,
di sfocate immagini,
d'accanimenti iniqui,
di frustrate virtù,
d'aberranti volontà,
di consumati ideali.
La sua era è finita!
Un ermafrodito
gli sopravvivrà!


Le anguille

Gli esami sono finiti anche
per i notabili rampolli 
che senza sbalordimento
hanno mietuto somme lodi.
- Come sempre d'altronde -
Ma, tra amori e anguille,
come direbbe il poeta,
fioriscono le nuove menti,
mentre gli iniqui inquisitori
satolli sognano senza smanie
e senza ansiosi pentimenti,
che indegna e misera forza
ostentò la loro sapienza.
Tanto soddisfa il Principe
che nulla è cambiato
negli ultimi cent'anni, 
scorsi come un soffio di vento.
Che i prossimi, purtroppo,
saranno sempre uguali,
almeno qui, dove le anguille
ancora, scivolano tra le mani
che vorrebbero acchiapparle.


Fanciulle demodé

Consolatevi
rosee gote pudiche,
consolatevi d'esistere
tra il soverchio
che ha velato i cuori.
 
Il tempo degli inquisitori

E' tardi per chiedere ancora.
E' troppo tardi ormai!
Sono andati via purtroppo, tutti!
Ed ora, soltanto io rimango
per rispondere alle domande
dei miei piccoli inquisitori.
 
Cenere di Qumran

C'è una croce di legno 
che ancora brucia
e si consuma,
mentre tre chiodi di ferro 
che ad essa si aggrappavano
sono caduti in un campo
stracolmo di macerie.
Cadranno le insegne e i nomi
e le promesse e le allucinazioni,
e un mucchio di cenere fumante
sarà quel che ci resterà
del millenario mistero. 


Ansia

Sera che vai allegra e spensierata
in una notte di lanterne magiche,
i miei figli t'ho affidato
e un cuore fatto a pezzi
che domani, forse, sopravvivrà
a un nuovo giorno,
ancora sospeso nel nulla.

Antitesi

Prima che il tempo passi
e, impietoso, mi attraversi
un grande maglio d'acciaio
bucherà da parte a parte
il monte e la roccia vedrai 
che si frantumerà
e milioni di schegge 
saliranno verso il cielo
per poi ricadere come 
sfiniti zampilli di fontana.
Ed ecco, finalmente!
si aprirà il colle dell'infinito 
e si sgretolerà per sempre.
Ma mio padre non ci sarà 
perché a quel punto lì,
mio padre sarà già morto. 


Un Don Chisciotte

Gli ultimi e disperati 
lamenti d'aiuto
nessuno li può sentire,
ma è dentro me ch'esplode 
la forza brutale del cuore,
e ancora più degli insulti 
m'umilia un'inutile tregua,
che oramai hanno colmato 
l'otre orrendo dell'infamie.
Ma ora, pace vò invocando,
pace per me soltanto
che nacqui in guerra
con gli uomini e le genti.
Pace dentro e fuori la mia pelle; 
pace nell'aria che mi sbrana;
pace per un guerriero inerme
che ha smesso di lottare invano. 


Sopravvivere

Piango la mia tristezza 
e ancora più mi privo
d'inutili e lontane gioie, 
che adesso nulla spero.
Poi, che del chiaro giorno 
nascondo la dolce paura
e tra alte mura mi confino
per esistere soltanto
in un profondo silenzio, 
per ascoltare a rilento 
le sole parole di prima
e l'eco dei miei delitti
e il ripasso dei miei errori,
per sopravvivere sereno
all'agonia del cuore 
che gusta il sapore dolce
della sicura conclusione.
 
Aprile

Vorrei spiegare 
con queste mie parole;
vorrei che fossero 
queste mie parole
come l'acciaio dei forti
che l'acqua ha temprato,
la stessa acqua 
che sotto i ponti rotti
non s'è mai fermata
e l'ardore ha placato
dei cuori arroventati.
Inutili chiromanzie attendono
quest'inutile popolo distratto:
egli è povero e non ha fame,
egli ride e piange,
e ride e piange così, per gioco.
Ma, ahimè, 
sempre più scuro e mutevole
quest'aprile m'appare: 
ora, che ho smesso i desideri;
ora, che sento tuonare l'orizzonte;
ora, che nulla scorgo 
oltre la linea certa della misura.


L'essenza

Così nascono gli ideali,
anche fra le nuvole sciolte
o nelle viscere della terra;
e così, dopo, si consumeranno
come volgari braci di paglia.

Oh, infame sobrietà
che a credula poesia aneli.
Cosa vuoi che sia?
Cosa vuoi che sia?
Cosa vuoi che sia?
E cos'è che vuole 
quest'infinita supplica
che emerge spontanea
e senza fine si ripete
quasi a placare l'impeto
degli animi più iracondi?
Cosa vuole che sia quella,
se non l'ipocrisia dell'essenza
che perpetua la fragilità umana?
 
Impronte

La prossima eclisse di sole
sarà visibile nel 2086!
Così han detto alla TV,
ed io non ci sarò ahimè,
non ci sarò più tra le immagini
di questo mondo
Che orrendo squallore
questa vita a termine:
è solo un'impronta sulla sabbia
bagnata dal mare,
un'impronta che scompare
con la tristezza delle impronte
che non han memoria.

28.06.99


Scirocco sul Lauro

S'è tinta di rosso 
la volta azzurrina 
sull'alto gigante romito
che le cime inchina alla foga 
e che ténere fronde d'ulivo
sembrano di più rafforzare.
Che è questo il tempo edace 
che temono gli uomini, certo,
non si può negare,
e la sabbia rossa e i cumuli neri,
le lacrime di sangue
e le raffiche violente 
e i sibili che tagliano l'aria, 
scorticando l'addomesticato Lauro 
e movendo turbini inquieti 
tra pietre e pietre infuocate,
leveranno angosciosi fragori 
simili ai pesanti fardelli del limite,
che il lampo è giunto ormai,
e soltanto un cane da lontano
guaisce prima del gran boato.

10.04.00

Omino di pezza

Omino di pezza che giri 
e rigiri appeso a un cappio 
e dondolando ad ogni balzo
il vetro picchi forte, e poi ti volti,
e la faccia mostri a tutti quanti: 
confusa, tumefatta, afflitta.
Apri le braccia al mondo
e confessi la tua scarsezza.

Che t'incontri io, omino caro,
io che pure vivo appeso a un filo
e mi giro e sbatto ovunque
e ad ogni fremito fuggevole 
di questo strano carrozzone
che dimena e sobbalza
e mi scuote e mi schiaccia
con il suo carico immenso.

E tu, piccolo uomo di cenci 
(eroe d'ambiguità e conformismo)
che la vita offri in bancarella
e di profondi tormenti ti duoli;
tu, che dell'incerto non hai timore
e la tua anima bruci solo strillando,
e nulla temi che sacrilego bestemmi.
Beffeggi il mondo e dici a tutti:
"oggi, voglio vendervi persino Dio!"
 
Amori dopo

Non è la poesia della primavera
quella che s'è fermata qui, e
non è la gioia né il canto giocondo
della nuova stagione, ma una storia,
una storia come le altre,
con troppo odore di fumo intorno
e troppi ricordi adulti
che un cattivo sapore nella bocca
è il gusto amaro della conclusione.

Quando ingialliranno le foglie,
strali d'acqua attraverseranno
il cupo cielo d'ottobre e
un largo effluvio di tristezza
si spargerà ovunque sulla terra,
che essa s'inonderà e legherà
un pronto e facile sconforto.
Presto, anche gli alberi
si spoglieranno
e mostreranno le loro ossa 
bianche, o livide, o scure
che nelle notti privi di luna
come di pianto saranno colmi.
E gli amori, quegli amori sacrileghi
soltanto sperati, o vissuti, o consumati
in una latrina nera, tanto per capire,
per godere la smania inalterata e viva
degli empi amori giovanili. 


Apologia del 2000

Io sono la meraviglia e la chiara sorpresa, 
lo stupore innocente e il solenne turbamento:
sono lo sconcerto di questo mondo inerte.
Io sono l'utile abbaglio, forse l'inesauribile,
senz'altro l'idea inverosimile e inaccessibile.
Io sono l'aurora boreale dei tropici,
la sublimazione degli eventi eterni:
io sono ciò che sono, sempre!
Sono l'unico, il provvisorio e il deteriorabile,
eppure, tremendamente adeguato;
gradevole, indifferente, orrendo,
anche pregevole e, tuttavia, detestabile,
in ogni modo, libero di pensare, 
di volere, di agire, di contestare.
E pensare per l'appunto, come mi pare,
senza riserve, cavalcando il respiro
e soverchiando l'istante, magari 
sputando in cielo così, per esser io, 
unicamente per godere soltanto
di questo nuovo secolo che non mio
e che lambirò, semplicemente invecchiando.


Secolare

Che la trombetta squilli
note accartocciate
e i tamburi scuotano
le viscere profonde,
cosa importa?
E' il cuore che dorme
gli inquieti silenzi
e nulla vuole
che possa mutare.

"Secolare" si disse 
di chi memorie 
n'aveva tante,
e secolari che siano
quelle tradizioni, 
pur tuttavia
ai secoli ricadranno,
e tutte prima o poi
si sfracelleranno 
in inutili richiami che
non distrarranno più.
E a questo punto, forse,
è meglio dimenticare!


Un'estate vogliosa
di crescere


Com'è vogliosa 
di crescere quest'estate
che d'aria feconda 
appare e si concede
e di vivi colori ardenti,
talora, si veste
finché l'azzurro cielo
rimarrà contaminato
e la caligine uggiosa
prenderà il sopravvento
e l'afa tormentosa
bramerà d'imprigionare
persino il tempo.
Ma, passerà 
e si leverà una brezza
dal levante, 
un soffio leggero, suadente,
e quest'estate si ritroverà
ancora più esuberante.


Soltanto melanconia

Melanconia ritrovo 
in quest'ozio crudo,
soltanto melanconia
che solo a dir si cela
dietro una maschera
di muscoli arricciati.
E l'Io che affiora
s'affievolisce già,
che privo dei perduti chiarori,
non sa lenire la paura.
E le facili certezze
che riempivano un sacco vuoto
scorsero davvero
in mille rigagnoli d'acqua
e tutto se n'è andato via
con loro,
vivendo la sudicia terra
e asciugandosi
senza lasciare impronta.
 
El Campesino

Segundo si chiamava el campesino,
Segundo Olivares de Hermoza,
(tanto per mantenere intatta l'assonanza
e non cambiare nulla con questa storia).
Era di Acapulco el campesino, 
era povero, era deluso, era affamato, 
e non faceva tuffi, lui, 
in quel mare blu d'America.
E poi, in ogni mare di questo mondo,
è buffo, ma c'è chi non si può tuffare
e chi lo fa, lo fa solo per morire.
E cosa importa se poi uno muore;
uno dei tanti, di quelli che non fan rumore.
Soltanto un fremito, un gorgoglio, 
oltre il cancello del bel mare, dove
non c'è ruggine che può apparire, 
e il campesino che sta a guardare 
poco o nulla può capire di chi sta fuori 
o di chi è dentro ad aspettare.
Aspettare il richiamo del mare
per vivere o morire, mentre
un'onda si increspa, scende, si adagia:
ed è solo schiuma il rumore del mare.
 
L'impero dei vermi

Com'è grassa la terra
dell'impero scuro
che cieco, muto e sordo
sazia i famelici vermi
dell'erebo fecondo.
Molto bene essi sanno 
girovagare al chiuso,
protetti dalle tenebre,
ed è meglio che sentire, o vedere,
o capire che altro è la vita
d'una bianca sfera che vola,
o del luccichio del chiaro auro
che poi, inevitabilmente,
riferirà l'ennesima menzogna.
E del mio impero diletto?
Là, vorrei poter strisciare 
come un lombrico nudo
fino alla morte,
privo d'inutili slanci, 
ossessivo e ovvio, sì!
Eppure, sarei un sapiente,
un verme si capisce, 
soltanto un verme capace
di custodire immutate
le mie segrete tenebre:
primo viaggiatore 
di un pallido globo
che di mestruo si tinge.


(...)

Ascolta che dolce silenzio
adesso, quassù ci trattiene,
in questo campo di eternità 
che l'intesa con la vita sospende.
Voglio guardarmi intorno 
quest'oggi che mi sento infettato
di presentimenti untosi
ed ho il tempo di farlo,
tutto il tempo che voglio!
Tanto, prima o poi, ritorneremo
insieme quassù, e capiremo
la continuità di questo silenzio
che loro ci racconteranno.
Tu ed io indivisibili, riuniti
finalmente, per sempre,
che il micidiale giogo 
della nostra unicità assoluta
concluderà così, pensando.

Aspettando
- l'agonia di una donna malata di cancro -

Sarà domani?
Sarà stasera? Sarà di notte?
Meglio la notte scura
che serba inalterati 
i miei feroci incubi,
che della nuova luce 
nulla si curano ormai.
Resta solo la notte 
per affrontare i mostri
che le mie carni sbranano,
e mai respiro d'aria chiara
mi conceda al fresco giorno,
egli ch'è servo al giogo 
d'una ingiusta ed ovvia fine.
Io lo dirò quando sarò pronta
che di questa carne morta
dovranno sfamarsi loro 
che ciechi mi divoreranno
e muti e sordi esulteranno
dei torbidi nutrimenti.
Non c'è speranza che nulla vuole,
né voglio morir così io,
come se fosse niente 
il solo istante e il tempo
che qui si ferma, 
qui con me, accanto; ora,
che solo a lui m'appiglio
senza più forze. 

Eppure lo voglio,
lo aspetto ancora quest'ultimo, 
buono compagno
che gli occhi saprà chiudere 
sul mio tenue trapasso.


In questo mondo sano

Volete camminare 
sopra un tappeto
di foglie secche?
Fatelo pure per carità,
ma senza far rumore,
silenziosamente, 
perché vorrei ascoltare 
ciò che si rompe:
la scorza che tiene intatta 
l'integrità dei giusti.
E state tranquilli,
non vi allarmate voi.
Colpi di mano
non ce ne saranno più
in questo mondo sano.
Giammai qualcuno 
solleverà i pugni in alto,
gridando libertà!
Liberi lo siamo già, anzi, 
sazi di libertà.
E siamo liberi pure
di camminare come vedete;
senza far rumore però,
silenziosamente,
magari, pestando sopra
un tappeto di foglie secche,
lontano, nondimeno, 
da quella scorza intera
che deve serbare intatta 
l'immagine e la faccia.

Se fosse il tempo

Se fosse il tempo
ad alleviare gli affanni,
vorrei che il tempo
chiudesse le mie favole,
che è troppo breve
l'istante della vita.
E più mi spingo,
smarrito,
verso il nulla,
più i miei occhi
ad esso si confondono.
Soltanto un punto lontano
è quel che vedo,
e a quello mi congiungo.
Eppure, sempre più distante
egli mi rimanda 
per riunirmi al mio presente
che tuttavia fugge
e s'allontana alle mie spalle.
Ed il futuro,
il mio futuro è quel punto
che non so toccare.

Insieme

Io con Te, 
con me,
insieme 
e per sempre,
dentro tutto il nero
di un incubo
che mi stritola
e mi perseguita.
Io sospeso nel nulla
e Tu che m'abbandoni.


Cuore incerto

Con il cuore
e nel cuore
devi scrivere
le tue parole.
Per ascoltare il cuore
se ti vorrà parlare
e lo potrai sentire;
che altro non ci sarà
di un vecchio stanco;
e non ci sarà la mente
che ti potrà aiutare,
né tutte le certezze
né tutte le passioni
che invano guizzeranno 
fuori le acque chiare 
di un cuore incerto. 


Nell'universo 
circoscritto


Tuttavia,
siamo polvere noi
grandi uomini
vestiti di niente,
polvere di stelle
alla deriva
che un cielo nero,
nero oltre il buio,
sta ancora oscurando.
E l'uno con l'altro,
insieme, 
gli spazi più remoti 
che d'infinito gloriano
veramente,
poi si avvicineranno,
mentre noi, 
frantumi eccedenti,
non arriveremo mai.


Alla poesia

Come un'amante mi confortano
le braccia sue aperte e accolgo
ch'ella s'avvicini soccorrente
e di strane passioni mi faccia sognare: 
smanie d'intimità appena sfiorate e
sublimi desideri, come osare amore.
Ed è caldo quell'amore appena atteso,
intrigante e deluso ad ogni istante,
come la neve che si scioglie alla carezza
di un sole che non mente, eppure,
raggela sotto il nuvolo che passa.
E come il sole io ti sfioro e ti sciolgo,
e come il nuvolo ti copro e ti gelo, 
che t'amo poesia mia addolorata,
t'amo e ti lodo di suoni e di parole 
per spazi che mi evocano solo numeri.
Eppure, gli accenti e i toni si rincorrono
e balzano in alto incuranti d'incagli,
che spini di rovo e reti di metallo 
non sono limiti efficaci per loro
che evadono la prigionia della mente.


Cipresso all'arrischiato poggio

Cipresso all'arrischiato poggio
che d'ogni parte a te si mira
e solingo e arruffato emergi,
troppo lontano dal mondo 
che sospeso e distratto dimori.
Tu che la solitudine piangi
e a tristi viali di pace ti leghi,
dove l'eterno silenzio s'ascolta
e gli occhi al dolore si chiudono,
nondimeno rimani distante 
che d'altro fai parte,
non di questa terra avara
che ti sconforta sentir vicino 
dacché lassù sei nato.
Assai incerta è la tua sorte
vecchio custode dei virtuosi luoghi
che i nudi barbari rapirono
alla bionda ninfa della terra.
E tu sei triste cipresso mio
che altrove di malinconia
tanto comprendi e ad ognuno
l'aura cupa della morte consenti.
Ma da lassù che la vita frughi
per gli eterni ulivi legnosi
aggrappati alle pareti bianche
dell'arcigno Mauro santo
e corone di candide orchidee
del cappero selvatico ti onorano,
nel solitario giorno ti è vicino
il nobile acanto fiorito
e l'umile ginestra che si piega.
Cosa ti manca? Cosa disperi ancora?
Dall'alto domini maestoso
e controlli il mondo,
ci osservi, ci ascolti, eppure,
estraneo rimani che d'altro si cura.
Chi nasce e chi muore non t'importa,
chi soffre e chi si duole non ti tocca.
E son io che piango la solitudine,
io che vedo il tuo estremo impaccio,
soltanto io che inizio a vagare
per uno sconfinato deserto e sogno
schierati filari d'anime mute
che mi vengono incontro, sorridendo.

Un sentimento

Tutto il male che affiora
dalle pieghe profonde e più fitte
di quel lato scuro della coscienza
emula impenetrabili brume e
schizza ad un arcano sentimento
che altro, ahimè, non conosco
se non l'ira irrefrenabile
che come lava alla caldera
si muove tumultuosamente,
e dalle viscere mormora e giunge
come acque che tracimano la diga
e inondano la piana, sommergendola.
Dopo, l'inutile furore che sorprende
si placa lentamente, e la ragione,
come un sole che abbaglia,
rinnova l'accantonato pudore.


Nata senza ali

Te lo dirò un giorno;
forse, te lo dirò
quando sei nata,
e dove è cominciata
la storia di noi due
che arrossisce ancora.
Un giorno, forse,
te lo dirò
lo giuro! 


Nell'orto 
dei conigli fossili


Nell'orto dei conigli
gli occhi delle tane
si son chiuse
e qualche orma d'uomo
ha strisciato la terra;
ma, sotto le ginestre
noi abbiamo cercato
soltanto un po' di ossa,
e solo pietre morte
e qualche sferula marcia
abbiamo trovato
che ovunque aveva sparso
gli umori della strage.
Uomo contro uomo,
faccia a faccia talvolta, 
e alla fine, semplicemente
per ritrovar se stessi
stampati sulle pietre.


Il sole negro

Biondo di spiga di grano,
biondo di un campo di fieno,
biondo del pelo più strano
che in te figlia mia si finge
ora, del sole negro
di una terra di sole.


Esistere insieme

Dissi qualcosa,
o proprio nulla,
di chi piangeva
la propria sorte
e disperava a tirare avanti
Perché è semplice il dolore,
davvero antico
per questa vita
che si rinnova;
e semplice è il tempo,
insistente direi
per noi che coltiviamo
il patto, unicamente
l'affanno di esistere
insieme.


C'è poco da dire
- ancora un "bimbo" morto di leucemia - 

Guarda che cielo stasera:
è chiaro, è intenso, è vivo!
Sembra che questo mondo
sia buono per davvero. 
Eppure, è la purezza dell'aria
che si celebra solamente,
e ci emoziona la stessa aria
inafferrabile ed infida
che ci sta ammazzando.
Cosa vuoi ragazzo mio,
c'è poco da dire ormai;
ciò che è stato, è stato!
Dei tuoi sedici anni
ne parleremo ancora un po' 
per dire che è un peccato;
ma, le lacrime che non finiranno
sono negli occhi dei disperati
che quest'aria mentitrice ha ferito.


Vittime innocenti del nulla

E' sabato oggi
e l'angoscia è sorta
insieme al nuovo sole,
e durerà tutto il giorno.
Stasera sarà soltanto paura,
la paura di chiudere gli occhi,
di sentire squillare un telefono;
e l'urlo di una sirena lontana
sospenderà la notte sul nulla
che avvolgerà l'intero mondo.


Il vulcano

Ovunque s'è sparsa la terra nera
come una pelle pesante
che subdola arde i miti germogli 
dell'acacia mossa dal vento
in su le ore del meriggio acceso.
Dove tutt'intorno è un unico fruscio
tra sterpi e in un tappeto d'oro
di foglie che non si lamentano
della bava muta che le copre.
Oltre l'antica piana tuona ancora
e vomita fiamme, e fumo, e urla, 
e sono giorni che l'aria vibra 
tutta della sua rabbia dolorosa
per questo presagio incombente
che da quaggiù è davvero fragile
il vulcano e indifeso l'uomo.
 
Nella fiera di Bauhen
portarono un uomo senza nome
che non era uomo e non era donna
che non era figlio e non era padre
e c'erano le donne ermafrodite
e le madri in prestito 
e i figli senza padre
in quella fiera dell'incertezza
ed io me ne stavo a guardare
con le mani in mano,
senza sapere cosa fare.
C'erano soltanto tante bocche
per pensare tutte le idee
e gli occhi per rubare l'amore.