C'ERA UNA VOLTA A LENTINI...
 
I GIOCHI E I PASSATEMPI
 
Erano quelli gli anni, fra il dopoguerra e la fine del 1960, in cui i ragazzi potevano giocare per le strade di Lentini senza grandi patemi d’animo; le poche macchine che circolavano non costituivano alcun pericolo e specialmente i maschi, organizzati in bande, combattevano sfide epiche che duravano interi pomeriggi e a volte anche giorni con le bande dei quartieri vicini. La tipica competizione per il dominio di un territorio, che in realta’ era solo uno spiazzo o una “vanedda” piu’ ampia in cui giocare al pallone, generalmente di pezza, era “a stritta” ovvero la sassaiola che, spesso, coinvolgeva piu’ gente del necessario, con risultati facilmente immaginabili. Oppure si giocava: “a latri e carrabbineri” <ladri e carabinieri> dove un gruppo faceva la parte dei ladri che si nascondono per sfuggire alla cattura e un altro la parte dei carabinieri che devono snidarli. Vinceva la sfida chi riusciva a superare meglio la loro parte. Le ragazzine giocavano normalmente con le bambole, vere e proprie figlie o figli da allevare, coccolare e a volte, molto raramente, punire. Tra i momenti piu’ importanti della vita della bambola –figlia- era anche il “battesimo”, con relativo rinfresco, cui partecipavano tutte le amiche della “madre” con i loro “piccoli”. I piu’ grandicelli si sfidavano “a nuciddi” (gioco delle noccioline) che si svolgeva tra 2 o piu’ giocatori che mettevano in palio lo stesso numero di noccioline. Queste venivano tutte insieme lanciate verso un muro alla cui base era una fossetta di circa 15 cm. di diametro e profonda circa 10 cm., scavata sul fondo ancora in terra battuta delle strade. Le noccioline, una volta toccato terra, si distribuivano a casaccio intorno alla buca e i giocatori a turno dovevano spingere con un sol colpo delle dita <ziccare>, generalmente il pollice e l’indice, le noccioline dentro la buca. Il giocatore che faceva arrivare le noccioline dentro la buca, ne diventava proprietario e aveva diritto di spingere le altre noccioline sino a quando non avesse mancato la buca e quindi lasciato il posto a un altro giocatore. Il gioco delle noccioline cominciava con la festa di S.Lucia e finiva di norma con l’Epifania. Un altro tipico gioco era “a truccari” <a toccarsi> o a “trucca e pammu”. Si trattava di una delle varianti del gioco precedente con le biglie di vetro e successivamente con le piu’ moderne catenelle di plastica. Le biglie di vetro, spinte dai giocatori, dovevano toccarsi e distanziarsi tra loro non oltre un palmo. Una variante era “o iteddu” <al dito> cui la distanza massima per vincere era pari allo spessore di un dito. Le ragazze preferivano il gioco della “ria”, il gioco della campana, che poteva essere di “40, 60 o 100” (rispettivamente con 4, 7 o 10 caselle). Il gioco consisteva nel tracciare per terra un disegno con piu’ caselle e lanciare una pietra nella prima casella e spingerla, restando su una gamba, fino all’ultima casella. Gli adolescenti prediligevano il gioco “de chiappeddi”, gioco per 2 o piu’ giocatori, che dovevano lanciare a una certa distanza, in genere circa 5 metri, dove era posta la vincita (soldi, noccioline o altro), una pietra “chiappedda” di forma appiattita e rotondeggiante di circa 10 cm di diametro. Vinceva chi riusciva a lanciare la sua “chiappedda” piu’ vicina alla posta del gioco. E inoltre i “5 petri”. Si trattava di lanciare in aria, una alla volta, una delle 5 pietre con cui si giocava e contemporaneamente prendere da terra, con la stessa mano usata per il lancio, un’altra delle pietre per poi raccogliere nel palmo della mano quella lanciata. Si continuava quindi lanciandone due e prendendone una o viceversa e cosi’ via, sino al massimo di lanciarne in aria quattro, raccoglierne una da terra e recuperare, quasi contemporaneamente le 4 lanciate. Quest’ultimo era un vero e proprio esercizio di destrezza manuale. Oppure c’era “u travu longu” <la lunga trave>. Si trattava di saltare uno alla volta, con la stessa tecnica del salto della cavallina, dei giocatori posti su una linea retta. Il primo dei saltatori si dispone a sua volta davanti all’ultimo dei saltati e cosi’ via, formando una lunga linea in movimento, quasi senza fine, di saltatori e saltati e “a nomu di Ddiu”, in cui si trattava di saltare alla cavallina uno alla volta uno dei giocatori, scelto “a tocca” <per vedere a chi tocca si lancia un numero con le dita, si somma e si fa la conta fra i partecipanti con il numero uscito> e nello stesso tempo declamare una filastrocca. Chi sbagliava il salto o le strofe della filastrocca, prendeva il posto del giocatore da saltare, che generalmente si indicava come colui che “appuzzava” <cioe’ colui che si piegava in avanti con le mani sulle ginocchia e le gambe tese>. La filastrocca era la seguente: a nomu di Diu  <nel nome di Dio>, e di Maria  <e della Madonna>, tri su li Santi  <tre sono i Santi>, qua qua qua  <quattro>, cinturina  <cinque>, sei piattu i lumei  <6 piatto di limoni>, setti fimmini schetti  <7 donne nubili>, ottu pani cottu  <8 pane cotto>, novi scappi novi  <9 scarpe nuove>, reci musumeci  <10 musumeci>, unnici n’saccu i pulici  <11 un sacco di pulci>, rurici manzionnu  <12 mezzogiorno>, tririci a passiata <13 la passeggiata>, quattordici a culazzata <14 culazzata, ovvero strisciare con il sedere la schiena del ragazza da saltare. La culazzata poteva anche essere perdonata declamando la frase: “culazzata piddunata”>, calciu in culu (calcio nel sedere, da dare con il tallone nel momento del salto al ragazzo che “appuzzava”>, passa u cunigghiu e ci lassa u brigghiu <passa il coniglio e lascia un birillo. In questo caso si lasciava in equilibrio, sulla schiena del ragazzo, un oggetto>, passa u cunigghiu e si pigghia u brigghiu <passa il coniglio e si riprende il birillo. Bisognava quindi riprendere l’oggetto lasciato in precedenza>, passa u cavaddu e ci lassa u raddu <passa il cavallo e lascio lo sporco; si lasciava generalmente sulla schiena il proprio fazzoletto), passa u cavaddu e si pigghia u raddu <passa il cavallo e si prende lo sporco, si riprende il fazzoletto>, bassa muntagna <bassa montagna. In questo caso il giocatore da saltare non era piegato sulla vita ma quasi eretto, piegato solo un po’ avanti>, iauta montagna <alta montagna, con il giocatore da saltare diritto e con la testa leggermente piegata in avanti>. Finita la filastrocca, se non vi erano stati errori si riprendeva daccapo. Un altro gioco, molto usato dai ragazzi, era il piu’ cruento a vacca scinni e ‘ncravacca” <la vacca scende e risale>. I ragazzi divisi in 2 squadre dovevavo a turno saltare sulla schiena dei ragazzi della squadra avversaria che formavano appunto “la vacca”, i cui componenti erano piegati sulla vita e posti in fila uno dietro l’altro. Quando tutti i componenti della squadra erano saltati in groppa, il capo squadra chiedeva ai ragazzi che formavano “la vacca”: “chi dici a vacca?” <cosa dice la vacca?>. le risposte possibili erano due: scinni e ‘ncravacca, oppure “e’ bona”. Nel primo caso i saltatori scendevano dalla “vacca” e si preparavano ad una nuova serie di salti. Nel secondo caso i saltatori continuavano a stare sulla schiena degli altri ragazzi sino a che non cedeva “la vacca” o qualcuno dei saltatori o toccava i piedi per terra, in questo caso i saltatori formavano “la vacca” per il successivo turno di salti. I giochi appena descritti, si svolgevano in una Lentini in cui i quartieri e vie non erano conosciuti per il loro nome ufficiale, imposto dal Comune, ma per una serie di toponimi (a Badia, Santa Mara Vecchia, Quattarari ecc.).
 
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Notizie tratte da "i luoghi della memoria" di Cirino Gula e Franco Valenti - Ediprint - SR
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