IN RICORDO DI DINU ADAMESTEANU

Il 21 gennaio 2004 si è spento a Policoro all’età di 91 anni, l’insigne archeologo Dinu Adamesteanu. E’ una grave perdita per l’intera comunità scientifica. Ben a ragione egli può essere considerato un “patriarca”, non solo, ovviamente, per la sua veneranda età, ma anche, e soprattutto, per i suoi grandi meriti scientifici e per la sua instancabile operosità.

Era nato in Romania, a Toporu, ed aveva esordito, neppure trentenne, nelle missioni archeologiche di Histria, sul Mar Nero. Era giunto in Italia nel 1939, alla vigilia dello scoppio della seconda guerra mondiale. Nel 1954 aveva ottenuto la cittadinanza italiana ed era stato inviato come archeologo a Gela, dove aveva iniziato a sperimentare l’applicazione della fotografia aerea per l’individuazione dei siti archeologici scomparsi.

Agli inizi degli anni '50 fu invitato dal prof. Bernabò Brea, Soprintendente di Siracusa, a partecipare agli scavi di Siracusa e di Lentini; l'anno dopo dal Soprintende di Agrigento, dottor Griffo, fu invitato a dirigere gli scavi di Gela che, con il professor Orlandini, continuò nel 1958 e, con discontinuità, fino al 1961.

Nell’ambito dell’indagine promossa dalla Soprintendenza alle Antichità di Siracusa, Sondaggi sistematici nel 1951 portarono alla luce i primi muri di fattura greca. Vari saggi si fecero su per l'antico colle di S.Mauro e presto venne accertato che si trattava della "fortificazione militare" della antica leontinoi: muri della lunghezza di circa 300 metri e dello spessore di 20 metri si sviluppano sulla cresta del colle S.Mauro e formando un grande cuneo, presenta a sud, l'apertura della famosa "porta siracusana" riportata da Polibio. In tal modo la necropoli ellenistica rimaneva fuori le mura. Infatti l'intera valle S.Mauro presenta oggi oltre 600 sepolcreti. La esplorazione attenta e minuziosa ha fatto avere un abbondantissimo corredo funebre: vasi, monete, lacrimatoi, armi. Il materiale ritrovato e' stato datato sino all'8°sec.a.C. e gran parte viene conservato in un magnifico "Museo Archeologico di Lentini", meta di studiosi e appassionati di ogni parte del mondo. 

Dinu Adamesteanu, nell’ambito dell’indagine promossa dalla Soprintendenza alle Antichità di Agrigento sull’ellenizzazione dei centri indigeni a settentrione di Gela (zona archeologica di Monte Bubbonia), condusse una breve campagna di scavo. Lo studioso affrontò, in primo luogo, il problema delle fortificazioni e, basandosi sullo studio delle foto aeree, individuò un lungo muro (ben cinque km di perimetro) che recingeva per intero la città. Lo scavo vero e proprio interessò la zona del cosiddetto anaktoron, dove risultarono esistere non una, bensì due costruzioni, di epoca e destinazione diversa: la struttura a grossi blocchi squadrati sarebbe stata parte di un tempietto costruito nel VI e distrutto nel IV secolo a. C., mentre la struttura formata da pietre irregolari a secco sarebbe stata una caserma, edificata nel IV secolo, con la parziale riutilizzazione dei blocchi del tempietto. La prosecuzione delle ricerche nella necropoli permise, poi, di mettere in luce, in due diverse zone del monte, altre dieci tombe databili tra la fine dell’VIII - inizi del VII e il VI secolo. 

La posizione strategicomilitare di monte Bubbonia dà ragione della necessità della sua conquista da parte sicula, o forse siculogreca. Il possesso del sito, posto a controllo della piana di Gela, allo sbocco di una serie di valli che, da Lentini e Pantalica, permettono da una parte l’accesso al mare di Gela, dall’altra alla zona di Piazza Armerina ed Enna, ovvero di Morgantina e Realmese, dovette interessare sia i due ethne indigeni, sia i Greci.

Nel 1964, cioè esattamente quaranta anni fa, venne destinato in Basilicata a dirigere la Soprintendenza regionale allora appena costituita. Ed iniziava così il lungo e proficuo suo rapporto con quella regione. La creazione della Soprintendenza regionale rese finalmente possibile una più attenta ed efficace azione non solo di ricerca e di studio, ma anche di salvaguardia e di valorizzazione dell’immenso patrimonio archeologico, in una regione che, in questi settori, poteva essere considerata ancora una vera e propria terra incognita. In pochi anni, grazie alla sua passione per la ricerca ed alla sua azione costante e tenace, la ricostruzione storica dell’antica Lucania riceveva un impulso straordinario e prendeva forma un programma estesissimo di realizzazioni nuove: nascevano prima i musei di Metaponto ed Eraclea e poi quello di Grumentum ed il parco archeologico di Venosa, mentre si ampliavano le strutture museali di Potenza e Matera e si portavano a compimento campagne di scavi in molte e svariate località, tra cui fondamentali quelle di Armento, Rossano di Vaglio, Siris e Timmari.

Oggi è possibile ripercorrere le varie fasi di questa intelligente opera di graduale lettura dell’ archivio della terra e di saldo radicamento delle emergenze archeologiche anche semplicemente scorrendo i titoli e le date delle numerosissime pubblicazioni lasciateci da Dinu Adamesteanu, perché egli ha sempre voluto affiancare al fervore operativo una fittissima produzione di testi, relazioni, saggi, lezioni universitarie, in ciascuno dei quali ha puntualmente dato conto dei risultati delle sue ricerche ed ha voluto sempre documentare anche il contributo dei suoi collaboratori, spesso giovani e giovanissimi, che hanno continuato e stanno continuando il cammino da lui iniziato ed in parte già percorso. Le aree archelogiche protette e fruibili sono ormai numerose, i musei occupano ogni porzione di territorio, ne suggeriscono le peculiarità storico-culturali locali, e la manualistica scientifica ne ha preso coscienza; tuttavia l’archivio della terra conserva per fortuna ancora i suoi documenti: la loro lettura è appena cominciata, e il programma è ancora tutto da sviluppare”