Lentini: Uomini illustri

Jacopo da Lentini

É il più antico poeta siciliano, inventore del sonetto, nato a Lentini alla fine del XII secolo e morto fra il 1246 e il 1250. Fu notaio imperiale di Federico II, perciò fu detto per antonomasia il Notaro (i suoi atti notarili sono datati tra il 1233 e il 1240). I contemporanei ebbero per lui grande venerazione, e Dante, pur contrapponendo a Jacopo e a Guittone d'Arezzo la poesia stilnovista nella Commedia (Purgatorio, XXIV,55), cita nel De vulgari eloquentia (1,12) come esempio di limpido e ornato stile la canzone di Jacopo: Per fino amore vo' sì lietamente. E' considerato, a cominciare dallo stesso Dante, il caposcuola, cioè il maestro e il rappresentante più insigne dei poeti siciliani. Avendo scritto le sue liriche fra il 1233 e il 1240, si attribuisce a questo periodo l'inizio della scuola dei poeti siciliani. Di Jacopo ci restano una quarantina di componimenti: numerose le canzoni, di varia struttura, talora unissonaus, al modo provenzale, cioè con rime costanti. A Jacopo va, altresì, attribuita l'istituzione della forma metrica del sonetto, che ormai si fa risalire a una stanza di canzone isolata, anziché, come vorrebbe una teoria meno accreditata, alla fusione di due strambotti. I suoi temi si raccolgono intorno a un sentimento amoroso cantato con vaga freschezza, con un gusto musicale limpido e sorgivo(come nel sonetto Meravigliosamente), pur nelle reminiscenze e nelle ripetizioni di moduli e strutture provenzali. Così, se il famoso sonetto Amore è un desio che ven da core, può essere considerato essenzialmente una dichiarazione di poetica nell'ambito di una derivazione provenzale, altrove Jacopo sa trovare più personali accenti per il suo trepido e gioioso canto d'amore (si veda in particolare il sonetto Io m'agio posto in core a Dio servire).

alcune sue opere

Madonna, dir vo voglio
Madonna, dir vo voglio / como l'amor m'à priso,  / inver' lo grande orgoglio / che voi bella mostrate, e no m'aita.  / Oi lasso, lo meo core, / che 'n tante pene è miso / che vive quando more / per bene amare, e teneselo a vita. / Dunque mor'e viv'eo? / No, ma lo core meo / more più spesso e forte / che no faria di morte - naturale, / per voi, donna, cui ama, / più che se stesso brama, / e voi pur lo sdegnate: / amor, vostra 'mistate - vidi male. / Lo meo 'namoramento / non pò parire in detto, / ma sì com'eo lo sento / cor no lo penseria né diria lingua;  / e zo ch'eo dico è nente / inver' ch'eo son distretto / tanto coralemente: / foc'aio al cor non credo mai si stingua; / anzi si pur alluma: / perché non mi consuma? / La salamandra audivi / che 'nfra lo foco vivi - stando sana; / eo sì fo per long'uso, / vivo 'n foc'amoroso / e non saccio ch'eo dica: / lo meo lavoro spica - e non ingrana. / Madonna, sì m'avene / ch'eo non posso avenire / com'eo dicesse bene / la propia cosa ch'eo sento d'amore; / sì com'omo in prudito / lo cor mi fa sentire, / che già mai no 'nd'è quito / mentre non pò toccar lo suo sentore. / Lo non-poter mi turba, / com'on che pinge e sturba, / e pure li dispiace / lo pingere che face, - e sé riprende, / che non fa per natura / la propia pintura; / e non è da blasmare / omo che cade in mare - a che s'aprende. / Lo vostr'amor che m'ave / in mare tempestoso, / è sì como la nave / c'a la fortuna getta ogni pesanti, / e campan per lo getto / di loco periglioso; / similemente eo getto / a voi, bella, li mei sospiri e pianti. / Che s'eo no li gittasse / parria che soffondasse, / e bene soffondara, / lo cor tanto gravara - in suo disio; / che tanto frange a terra / tempesta, che s'aterra, / ed eo così rinfrango, / quando sospiro e piango - posar crio. / Assai mi son mostrato / a voi, donna spietata, / com'eo so' innamorato, / ma creio ch'e' dispiaceria voi pinto. / Poi c'a me solo, lasso, / cotal ventura è data, / perché no mi 'nde lasso? / Non posso, di tal guisa Amor m'à vinto. / Vorria c'or avenisse / che lo meo core 'scisse / come 'ncarnato tutto, / e non facesse motto - a vo', isdegnosa; / c'Amore a tal l'adusse / ca, se vipera i fusse, / natura perderia: / a tal lo vederia, - fora pietosa.
 
Meravigliosa-mente
Meravigliosa-mente / un amor mi distringe / e mi tene ad ogn'ora. / Com'om che pone mente / in altro exemplo pinge / la simile pintura, / così, bella, facc'eo, / che 'nfra lo core meo / porto la tua figura. / In cor par ch'eo vi porti, / pinta come parete, / e non pare difore. / O Deo, co' mi par forte / non so se lo sapete, / con' v'amo di bon core; / ch'eo son sì vergognoso / che pur vi guardo ascoso / e non vi mostro amore. / Avendo gran disio / dipinsi una pintura, / bella, voi simigliante, / e quando voi non vio / guardo 'n quella figura, / par ch'eo v'aggia davante: / come quello che crede / salvarsi per sua fede, / ancor non veggia inante. / Al cor m'ard'una doglia, / com'om che ten lo foco / a lo suo seno ascoso, / e quando più lo 'nvoglia, / allora arde più loco / e non pò star incluso: / similemente eo ardo / quando pass'e non guardo / a voi, vis'amoroso. / S'eo guardo, quando passo, / inver' voi no mi giro, / bella, per risguardare; / andando, ad ogni passo / getto uno gran sospiro / ca facemi ancosciare; / e certo bene ancoscio, / c'a pena mi conoscio, / tanto bella mi pare. / Assai v'aggio laudato, / madonna, in tutte parti, / di bellezze c'avete. / Non so se v'è contato / ch'eo lo faccia per arti, / che voi pur v'ascondete: /sacciatelo per singa / zo ch'eo no dico a linga, / quando voi mi vedite. / Canzonetta novella, / va' canta nova cosa; / lèvati da maitino / davanti a la più bella, / fiore d'ogn'amorosa, / bionda più c'auro fino: / «Lo vostro amor, ch'è caro, / donatelo al Notaro / ch'è nato da Lentino».
 
Io m'aggio posto in core a Dio servire
Io m'ag[g]io posto in core a Dio servire / com'io potesse gire in paradiso / al santo loco, c'ag[g]io audito dire / o' si mantien sollazo, gioco e riso. / Sanza mia donna non vi voria gire, / quella c'à blonda testa e claro viso, / che sanza lei non poteria gaudere, / estando da la mia donna diviso. / Ma non lo dico a tale intendimento, / perch'io pecato ci volesse fare; / se non veder lo suo bel portamento, / e lo bel viso e 'l morbido sguardare: / che·l mi teria in gran consolamento, / veggendo la mia donna in ghiora stare.
 
Chi non avesse mai veduto foco
[C]hi non avesse mai veduto foco / no crederia che cocere potesse, / anti li sembraria solazzo e gioco / lo so isprendor[e], quando lo vedesse. / Ma s'ello lo tocasse in alcun loco, / belli se[m]brara che forte cocesse: / quello d'Amore m'à tocato un poco, / molto me coce - Deo, che s'aprendesse! / Che s'aprendesse in voi, [ma]donna mia, / che mi mostrate dar solazzo amando, / e voi mi date pur pen'e tormento. /   Certo l'Amor[e] fa gran vilania, / che no distringe te che vai gabando, / a me che servo non dà isbaldimento.
 
Amore è uno desi[o] che ven da' core
Amore è uno desi[o] che ven da' core / per abondanza di gran piacimento; / e li occhi in prima genera[n] l'amore / e lo core li dà nutricamento.  / Ben è alcuna fiata om amatore / senza vedere so 'namoramento, / ma quell'amor che stringe con furore / da la vista de li occhi ha nas[ci]mento: / ché li occhi rapresenta[n] a lo core / d'onni cosa che veden bono e rio / com'è formata natural[e]mente; / e lo cor, che di zo è concepitore, / imagina, e [li] piace quel desio: / e questo amore regna fra la gente. 
 
 
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 approfondimenti sulle opere             la scuola siciliana 
 
 
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Notizie  dalla  Rete
 
In anteprima mondiale alla Galleria degli Uffizi - Sara' esposta per la prima volta in pubblico la piu' antica poesia lirica in volgare italiano, scoperta solo quattro anni fa nell'archivio storico della Arcidiocesi di Ravenna.

Accadra' dal 13 marzo al 30 settembre 2003, quando la Galleria degli Uffizi di Firenze ospitera' la grande mostra ''Dove il si' suona. Gli italiani e la loro lingua'', ideata dalla Societa' Dante Alighieri. L'esposizione della ''Pergamena ravennate'' (fine XII secolo), nella quale si legge una delle primissime poesie d'amore in lingua italiana, e' uno dei preziosi documenti che il professor Luca Serianni, curatore scientifico dell'evento, ha messo insieme per presentare il percorso storico della nascita del nostro idioma: gli altri pezzi forti sono la copia della ''Commedia'' di Dante Alighieri donata da Giovanni Boccaccio a Francesco Petrarca, custodita in Vaticano; il codice autografo del ''Decameron'' di Boccaccio, che si trova a Berlino; l'autografo dell'''Orlando furioso'' di Ludovico Ariosto e quello della ''Gerusalemme conquistata'' di Torquato Tasso. La ''Pergamena ravennate'' e' una canzone d'amore in 50 versi, scritta da un autore ignoto, la cui composizione risale ad un arco cronologico che va dal 1180 al 1210, anticipando cosi' tra i 50 e i 30 anni le radici della nostra letteratura: le piu' antiche rime amorose finora conosciute sono quelle di Jacopo da Lentini (1235 circa). La scoperta e' stata fatta dall'accademico della Crusca Alfredo Stussi, professore di storia della lingua italiana alla Scuola Normale di Pisa. L'arcaica canzone fu ricopiata sul dorso di una pergamena insieme ad un altro testo piu' breve di soli cinque versi, dal significato un po' misterioso ma con ogni probabilita' riconducibili alla tematica del testo principale. I primi versi del testo piu' lungo recitano: ''Quando eu stava in le tu' catene, oi Amor, me fisti demandare/ s'eu volesse sufirir le pene/ ou le tu' rechize abandunare/ ch'enno grand' e de speranza plene,/ cun ver dire, sempre voln' andare''.
(da culturaweb - giugno 2003)